La rete partenopea «Il welfare non è un lusso» si estende da nord a sud. E critica i sindacati: «In questa lotta sono assenti»

di Adriana Pollice
Articolo tratto da Il Manifesto del 9 marzo 2011

Il welfare non è un lusso. La sigla che riunisce cooperative e associazioni del terzo settore campano è diventata una piattaforma di lotta che si va diffondendo in Italia, trascinata dai tagli del governo. Meno 78,7% nell’ultima finanziaria, sul tavolo restano appena 538 milioni di euro, che minacciano di diventare 43 nel 2013. Così dopo la tre giorni napoletana di fine febbraio, con sessioni di lavoro che hanno coinvolto oltre 500 addetti da Lazio, Basilicata, Liguria, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, si è replicato ieri a Roma presso il Cesv (Centro servizi volontariato). Ma sul tappeto c’è anche la costruzione di una manifestazione nazionale entro aprile. Che il problema dei servizi alla persona (assistenza a minori, disabili, donne maltrattate, migranti, tossicodipendenti, disagio psichico…) non sia una questione napoletana lo dimostra lo striscione esposto proprio nella capitale a fine febbraio durante il Social pride capitolino «Il welfare non è un lusso né a Roma né a Napoli». «Il terzo settore partenopeo rischia la scomparsa tra tagli e crediti non pagati – spiega Sergio D’Angelo, portavoce degli operatori campani – ma è anche vero che siamo diventati un laboratorio, un luogo dove abbiamo sperimentato politiche avanzate in territori attraversati da crisi sociali fortissime. La nostra vertenza sul lavoro si intreccia con la tutela dei diritti indisponibili, quelli che la politica finanziaria dell’esecutivo sta rimettendo in discussione». Perché si tratta prima di tutto di un problema politico: «Lo stesso Forum del terzo settore – sottolinea D’Angelo – non si è rivelato all’altezza della sfida, allineandosi al governo nella richiesta di ripristinare i fondi del 5xmille, una richiesta compatibile con l’idea di risolvere la questione facendo affidamento su famiglie e volontariato. Ridurre il sistema dei servizi mercificando i bisogni e privatizzando le risposte. I sindacati, in tutto questo, dove sono?». C’è la crisi, parola magica per liquidare qualunque voce di spesa. «La politica dei due tempi – prosegue – è solo una scusa per cancellare il settore. Si è scelto di non trovare le risorse, che invece ci sono per la Tav, il ponte sullo Stretto, per i mig da mandare in guerra. Non abbiamo bisogno di grandi opere in questo paese, ma meno armi e più diritti. La retorica del sud assistito è servita solo a giustificare la fuga delle risorse verso il nord, come i criteri di riparto del fondo sanitario e i fondi Fas dimostrano». Il panorama nazionale ci dice che se, da un lato, andiamo verso la chiusura delle case famiglia ovunque, dall’altro la distruzione del welfare porterà a un aumento della spesa, indirizzata però verso altri attori. Se non ci sarà riabilitazione per i tossicodipendenti si finanzierà l’edilizia carceraria (60 euro al giorno di spesa in comunità, 250 euro in galera), niente inserimento per i migranti ma nuovi Cie, niente cura e guarigione per i sofferenti psichici ma costosi ricoveri in strutture private e uso massiccio di psicofarmaci. Se non ci sono le risorse allora il problema ricade sulla famiglia e, soprattutto, sulle donne. Dai tavoli di lavoro napoletani sono venuti fuori documenti (presto consultabili sul sito www.gescosociale.it) che, a partire da diritti, lavoro ed economia, delineano un differente modello sociale, ma con i nuovi appuntamenti si arriverà a una piattaforma nazionale da mettere al centro di un dibattito che superi l’attuale silenzio dei partiti di centrosinistra, che da forze di governo hanno lascito il settore in uno stato di fragilità. Sull’orlo dell’estinzione, è venuto il momento di avere coraggio.

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